Definire gli obiettivi di trattamento per la vita reale

La definizione degli obiettivi di trattamento per pazienti con depressione viene spesso resa più difficile a causa di una serie di fattori. Questi includono l'eterogeneità clinica della condizione,1,2 l’errata percezione di tutto ciò che essa comporta (contribuendo a rendere meno riconoscibili i sintomi chiave, sia a causa del paziente che spesso non li considera rilevanti, sia a causa del clinico che non indaga a fondo nella vita quotidiana del paziente);3 e la natura sfaccettata e altamente soggettiva dei sintomi.1-3

Le linee guida CANMAT (The Canadian Network for Mood and Anxiety Treatments) per il trattamento della depressione sono in grado di riassumere gli obiettivi per il trattamento della fase acuta e quella di mantenimento attraverso due quesiti clinici: "Come fai a far star bene le persone con depressione?" e "Come fai a mantenerle in questa condizione di benessere?".3 Entrambe le domande sono essenziali nel lungo termine, dal momento che ottenere la remissione di tutti i singoli sintomi nella fase acuta è fondamentale per consentire il pieno recupero funzionale e ridurre il rischio di recidive.3 La chiave, secondo le linee guida CANMAT, sta nel coinvolgere il paziente in prima persona nello sviluppo degli obiettivi di trattamento.3

"Gli obiettivi generali nel trattamento del disturbo depressivo maggiore dovrebbero concentrarsi sull'attenuazione dei disturbi funzionali e sul miglioramento della qualità della vita, oltre che sul raggiungimento della risoluzione dei sintomi e sulla remissione degli episodi depressivi" - American Psychiatric Association

L'esperienza personale di depressione di ciascun paziente definisce ciò che loro percepiscono come progresso. Se da un lato le scale cliniche possono essere una misura utile nella fase acuta, nel lungo termine potrebbe essere più rilevante tenere traccia del progresso dei pazienti per quanto riguarda il miglioramento funzionale nelle loro vite. In una recente campagna social promossa dalla nostra piattaforma dedicata ai pazienti, Rethink Depression, abbiamo posto alcune domande alla community, ad esempio "Se potessi desiderare una vittoria, quale sarebbe?" e "Se dovessi avere una buona giornata domani, la prima cosa che farei è _____ ". Le risposte hanno dimostrato i vari modi in cui i sintomi si manifestano nella vita quotidiana, attraverso il lavoro, la casa e il funzionamento sociale:

• "Lavarmi la faccia, sistemare i capelli, fare una sana colazione, fare una passeggiata e fare un po' di esercizio fisico"

•"Andare in palestra"

• "Fare una corsa"

•"Danzare"

• "Vorrei abbracciare qualcuno che amo"

• "Portare a termine tutti i compiti della giornata"

• "Essere eccitato per qualcosa"

• "Dormire tutta la notte"

• "Terminare le mie letture"

• "Preparare (e mangiare) del cibo cucinato da me"

Dal momento che i pazienti non riescono a far emergere queste difficoltà durante l’incontro con il medico, c’è bisogno dell'iniziativa di quest’ultimo per indagare più a fondo su queste tematiche.1 Le linee guida APA incoraggiano ad interrogare i pazienti sul modo in cui le loro attività e il grado di godimento della loro vita sono stati alterati dai sintomi della depressione.1 Ciò consente al medico di aiutare il paziente a tradurre obiettivi vaghi (ad es. "Ho difficoltà a rispettare gli impegni") in obiettivi specifici ed appropriati ai suoi disturbi ("Cosa avresti bisogno di fare per essere in grado di soddisfare i tuoi obblighi lavorativi e familiari? "). Questi obiettivi raramente variano nel lungo termine, ma possono essere sostituiti nel momento in cui un altro acquisisce una maggiore rilevanza.4 In questo modo, il paziente diventa partecipe in modo attivo del suo recupero e viene fornito di un’ulteriore motivazione per raggiungere e mantenere i suoi obiettivi di trattamento.4

 

References

  1. American Psychiatric Association. Practice Guideline for the Treatment of Patients with Major Depressive Disorder. Third Edition. 2010.
  2. Greer TL et al. CNS Durgs 2010; 24(4): 276–284.
  3. Lam RW et al. Can J Psychiatry 2016; 61(9): 510–523.
  4. Battle CL et al. J Psychiatr Pract. 2010; 16(6): 425–430.